Servizio Sanitario Nazionale e stile di vita sano: ecco perché gli italiani vivono di più
In Italia si vive bene e si vive a lungo, lo confermano alcuni studi scientifici che individuano come l’aspettativa di vita nel Belpaese sia in aumento dal 1990 ed è tra le più alte al mondo. Il merito? Secondo un recente studio pubblicato sulla rivista scientifica The Lancet sottolinea il ruolo fondamentale svolto dal servizio sanitario nazionale, pubblico e diffuso in maniera capillare sul territorio, unito alla classica “dieta Mediterranea” che implica sì un’alimentazione varia e complessivamente equilibrata, ma anche uno stile di vita salutare.
Lo studio: gli italiani vivono di più grazie al servizio sanitario nazionale
In Italia, l’aspettativa di vita alla nascita è di 85,3 anni per le donne e 80,8 per gli uomini, un risultato che si inserisce nella top 10 del paesi in cui si vive più a lungo su scala globale. Inoltre, i ricercatori - che hanno realizzato lo studio pubblicato su The Lancet nel 2019 - hanno osservato come questo dato sia migliorato in maniera significativa tra il 1990 e il 2017, ovvero l’ultimo anno del quale sono disponibili i dati.
In questo lasso di tempo, è diminuito del 53,7% il tasso di mortalità per cause cardiovascolari, del 62,1% quello per gli infortuni durante i trasporti sanitari, e del 28,2% a causa dei tumori. Tutte patologie per cui una corretta prevenzione è fondamentale, quando per prevenzione si intende sia l’accesso a programmi di screening e check up regolari che uno stile di vita che preveda alimentazione sana, attività motoria costante e la riduzione drastica fino all'eliminazione del fumo e dell’alcol.
Appare chiaro, dunque, per quali ragioni i ricercatori segnalano l’importante ruolo svolto dal servizio sanitario nazionale in questi risultati ritenuti così importanti. Per quanto riguarda i tumori in maniera particolare, il SNN prevede un sistema di screening per tre tipologie tumorali (cancro alla mammella, al collo dell’utero e al colon) che permettono di individuare le forme critiche in tempo per poter intervenire. Negli ultimi anni, si è assistito ad un aumento delle diagnosi, ma contemporaneamente è cresciuto anche il tasso di sopravvivenza. Segno di un’attenzione maggiore e della capacità del servizio sanitario di intercettare la malattia prima che si diffonda in maniera eccessiva.
Si vive più a lungo, ma peggio
Allargando lo spettro e guardando ai dati a partire dal 1978, anno di fondazione del Servizio Sanitario Nazionale, appare ancor più evidente come sia aumentata l’aspettativa di vita degli italiani. In quell’anno, infatti, l’aspettativa media era di 73,3 anni. Quarant’anni dopo, la popolazione ha guadagnato ben 10 anni di vita, ma non tutti in buona salute. Il rapporto “Meridiano sanità”, realizzato da The European House - Ambrosetti, evidenzia come nello stesso lasso di tempo l’aspettativa di vita in buona salute è addirittura calata di due anni e mezzo. Ciò significa che si vive più a lungo in condizioni di cronicità e disabilità, impattando di conseguenza anche sulla spesa sanitaria pubblica e richiedendo una formazione di innovazione, come la telemedicina, che permetta di garantire una buona qualità di vita anche nella malattia.
Sempre secondo il rapporto, l’impatto concreto dell’invecchiamento della popolazione (che somma miglioramento dell’aspettativa di vita, ma non sempre in buona salute) si misura osservando i picchi di spesa della sanità. Il primo si osserva alla nascita, mentre il secondo è a partire dai 65 anni circa con la comparsa dei primi acciacchi. Successivamente la situazione si fa più seria a partire dai 75 quando, si stima, il 65% degli italiani convive con almeno due patologie croniche.
Agire ancora sui fattori di rischio?
Punti di forza e di debolezza della popolazione italiana, dunque, riportano al ruolo fondamentale che può svolgere il servizio sanitario nazionale. Come anticipato, infatti, sono cruciali gli investimenti nella prevenzione, ma anche nell’innovazione che miri ad una presa in carico sostenibile di chi si trova a convinvere con le patologie croniche.
I ricercatori dello studio pubblicato su The Lancet, a tal proposito, sottolineano che “il fumo, l'elevata concentrazione di glucosio nel plasma a digiuno, l'ipertensione, i rischi alimentari, l'alto indice di massa corporea e l'uso di alcol sono ancora i principali fattori di rischio del carico di malattia in Italia”, a sottolineare come i risultati raggiunti fino ad oggi sono un punto di partenza per continuare nella medesima direzione, nella consapevolezza di quali sono i fattori di rischio che possono fare la differenza. E perché, a questo punto, non farsi supportare anche dalla tecnologia?