Portano la felicità in azienda, sviluppando competenze, relazioni e una migliore gestione organizzativa: sono i Chief Happiness Officer (CHO), una nuova figura professionale che sta attirando l’attenzione di un numero sempre più significativo di aziende anche in Italia. Non si tratta di consulenti che si occupano di dispensare sorrisi o incoraggiare i dipendenti e i collaboratori, ma di professionisti delle organizzazioni che applicano strumenti scientifici che derivano dalle scienze psicologiche al mondo del lavoro.
I risultati, spiegano dati alla mano i primi CHO in Italia, si possono misurare in termini di produttività, efficienza aziendale e innovazione. Scopriamo, dunque, come lavora un Chief Happiness Officer e perché potrebbe essere utile anche nel settore sanitario.
Il Chief Happiness Officer è, dunque, una figura aziendale che si affianca a quelle tradizionali (CEO, HR manager, ecc) che si occupa, in maniera specifica, dello sviluppo positivo delle persone che compongono il team di lavoro. Gli obiettivi sono realizzare il potenziale di ciascun dipendente e il benessere di tutti.
Ciò si realizza, ad un primo livello, nell’implementazione di strategie di team building, attività aziendali, incontri di confronto formali e informali tra i dipendenti, ma non soltanto. Il Chief Happiness Officer lavora, infatti, anche su piani di miglioramento del clima aziendale a medio e lungo termine: si può occupare, per esempio, dell’organizzazione di programmi di formazione per i dipendenti che possano valorizzare le loro competenze e i loro talenti, oppure dell’introduzione di processi aziendali più evoluti e innovativi.
La felicità, nella visione del CHO, non è qualcosa di effimero, ma una caratteristica che si può coltivare, curare e far crescere anche sul posto di lavoro. È interpretata come un fattore chiave per il raggiungimento degli obiettivi aziendali e dell’evoluzione sostenibile.
L’efficacia dell’azione di un Chief Happiness Officer è misurabile, e questo è un altro elemento che rende queste figure interessanti. Chi promuove questa filosofia di azione aziendale sottolinea che, in prima battuta, è possibile verificare i risultati attraverso l’impatto che produce sui KPI dell’azienda.
Diverse ricerche condotte negli Stati Uniti dalle agenzie Gallup e Greenberg, in particolare, hanno misurato in termini percentuali l’effetto del CHO su una realtà aziendale. Una “cultura positiva” porta ad un aumento del 300% del livello di innovazione e un aumento del 31% della produttività. Per di più, consente di far sentire i dipendenti più legati all’azienda e, di conseguenza, capaci di essere più efficaci nell’orario lavorativo: a tal proposito, gli stessi studi evidenziano come, oggi, il 65% dei lavoratori afferma di non sentirsi apprezzato sul posto di lavoro.
Inoltre ricerche autorevoli realizzate sempre da Gallup, Harvard Business Review e Forbers, rivelano che una organizzazione positiva - come si definiscono le realtà che hanno investito in un progetto con un CHO - vedono una riduzione del 125% di episodi di burnout, del 66% di episodi di malattia e del 51% degli indici di turnover.
Il CHO lavora, dunque, anche sull’ascolto dei bisogni e delle esigenze dei lavoratori, punto di partenza fondamentale per migliorare la relazione e la comunicazione interna. Altri fattori che determinano o meno il successo di un’attività.
Il perché un Chief Happiness Officer possa essere utile anche nel contesto di un Poliambulatorio è presto detto. La prima ragione è che, come qualsiasi azienda, anche quella che si occupa di sanità ha bisogno di ottenere determinati obiettivi per poter crescere e svilupparsi. In questo senso, fattori cruciali sono la qualità del servizio offerto, l’ampiezza dell’offerta promossa ai pazienti, ma anche il “fattore umano”.
Conflitti interni al poliambulatorio, per esempio, possono costare caro sia in termini di salute dei pazienti sia in termini prettamente economici. Il CHO può agire su questi punti, aiutando medici, infermieri e operatori sanitari a stabilire relazioni e comunicazioni efficaci ed efficienti. Perché l’organizzazione può essere perfetta - avere un software gestionale, chatbot, essere un ambulatorio smart aperto alla digitalizzazione - ma se il clima tra le persone non è sereno, tutti gli sforzi nel perfezionamento dell’efficienza sono vani.
Nondimeno, uno degli obiettivi del poliambulatorio è, naturalmente, promuovere la salute e il benessere dei propri pazienti. Da questo punto di vista, curare gli stessi aspetti anche all’interno del proprio staff è l’elemento basilare su cui costruire la reputazione del poliambulatorio e stimolare il passaparola.
La crescita e il successo di una struttura ambulatoriale, dunque, passa anche attraverso fattori come quello della felicità e del benessere dei dipendenti e dello staff che si riflette su quello dei pazienti. E il Chief Happiness Officer è una nuova interessanti figura che potrebbe proprio ottimizzare e migliorare questi aspetti per poter offrire un servizio di ancor migliore qualità.