06 luglio 2018

Sanità Digitale: l’Italia è molto (troppo) indietro nella digitalizzazione

Cresce il numero di persone connesse ad Internet in Italia, ormai ben 43 milioni secondo il Global Digital 2018, ma non il grado di digitalizzazione che, in tutta Europa, aumenta lentamente. E, nonostante un numero sempre maggiore di studi evidenzi come l’ICT sia particolarmente preziosa in ambito medico e sanitario, i servizi ad alto tasso tecnologico sono diffusi a macchia di leopardo e stentano a diventare la normalità. La Sanità Digitale è, dunque, in Italia ancora un miraggio?

Digitalizzazione: come misurare il progresso con l’Indice I-DESI

Il futuro è digitale, su questo non sembrano esserci dubbi, ma non tutti i paesi si stanno adattando al cambiamento con la stessa velocità. Per misurare i progressi in questo campo viene utilizzato l’International Digital Economy and Society Index, abbreviato in I-DESI, che compara il grado di digitalizzazione dei paesi dell’Unione Europea e di 15 Stati extra UE: Australia, Brasile, Canada, Cina, Islanda, Israele, Giappone, Corea, Messico, Nuova Zelanda, Norvegia, Russia, Svizzera, Turchia e Stati Uniti.

Tra gli elementi presi in considerazione, ci sono la Connettività (rispetto alla quale preoccupa il fatto che solo il 22% del territorio italiano sia coperto dalla banda ultraveloce), il Capitale Umano, ovvero le capacità tecnologiche medie della popolazione nei vari paesi coinvolti nella rilevazione statistica, i Servizi pubblici digitali.

Italia fanalino di coda in vari settori

L’Italia, in particolare, ottiene risultati contrastanti. Incoraggiante, per esempio, l’8° posto in classifica per quanto riguarda i servizi offerti sulla Sanità Digitale. Tuttavia il pessimo dato a proposito del capitale umano per cui solo il 44% degli italiani ha delle competenze in ambito digitale rischia di vanificare investimenti e sforzi. L’utente, infatti, potrebbe non avere gli strumenti per poter effettivamente usufruire del servizio digitalizzato.

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Questo dato, sommato alla carenza di diffusione sull’intero territorio della banda larga ultraveloce (almeno 100 Mbps), spiega come la digitalizzazione in Italia proceda a singhiozzo e sia diffusa per aree in maniera molto irregolare. Segnali incoraggianti vengono, però, dal Piano Banda Ultra Larga, previsto dall’accordo Stato-Regioni del 2016, e che prevede di estendere la diffusione di infrastrutture di connettività in maniera capillare. In particolare, si prevede entro il 2020 di garantire la banda ultraveloce nell’85% delle case dei cittadini italiani e in tutti gli edifici pubblici.

Certo il digital divide non ha soltanto una dimensione geografica, ma anche culturale. Basti pensare che, secondo i dati riportati da Il Sole 24 ore, ben 8 italiani su 10 preferiscono mettersi in coda per poter parlare direttamente con il medico, qualsiasi sia la domanda o la questione da sottoporgli, piuttosto che approfittare dei servizi della sanità digitale.

Sanità digitale, crescono gli investimenti

Come conferma anche l’I-DESI, in Italia non mancano gli sforzi mirati alla digitalizzazione della sanità: nel 2017, la spesa pubblica in questo settore è cresciuta a 1,3 miliardi di Euro, il 2% in più rispetto all’anno precedente. Qualcosa, però, ancora non funziona come dimostrano i dati raccolti dall’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità della School of Management del Politecnico di Milano, presentati lo scorso mese di maggio nel corso del convegno “Sanità e digitale: uno spazio per innovare”.

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Gli investimenti sono concentrati in vari ambiti: la Cartella Clinica Elettronica, i sistemi di front-end, il disaster recovery. Il 72% delle Direzioni Strategiche delle strutture ospedialiere coinvolte nell’indagine individua proprio nella cartella clinica elettronica l’asset di cui non si può fare a meno per raggiungere gli obiettivi di crescita e digitalizzazione. Sfiora i 24 milioni di Euro l’investimento dedicato alla Telemedicina, sebbene solo 4 dirigenze su 10 la ritengano effettivamente prioritaria e sia ancora diffusa in pochi settori e strutture sanitarie. Non è passato inosservato nemmeno in ambito sanitario lo scandalo Cambridge Analytica, ma soprattutto il GDPR: il 76% delle strutture ha, infatti, revisionato la propria privacy policy e ritiene che Big Data Analytics e Business Intelligence siano ambiti da non sottovalutare.

Tra i servizi attualmente più diffusi:

    • la conferma, modifica o cancellazione di un appuntamento via internet o via SMS
    • la possibilità di visualizzare e stampare i referti online
    • l’opportunità di scaricare gratuitamente un’applicazione per smartphone attraverso la quale accedere a servizi sanitari specifici
    • l’assistenza virtuale per informazioni e prenotazioni.

A spendere, sottolinea ancora l’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità, sono principalmente le strutture sanitarie, seguite dalle Regioni, dai medici di Medicina generale e dal Ministero della Salute. Molto sensibili alla digitalizzazione sono i medici che già stanno sperimentando come un software può semplificare la vita, ottimizzando tempi ed energie. WhatsApp e i sistemi di messaggistica, infatti, piacciono molto soprattutto ai medici di famiglia: il 63% di essi è pronto ad utilizzarli per scambiare dati, fotografie ed informazioni direttamente con il paziente.

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Italiani, poco (troppo poco) digitali

Chi, invece, sembra frenare rispetto all’evoluzione della sanità digitale è proprio il paziente. Sempre a proposito dell’utilizzo di WhatsApp, per esempio, solo il 12% degli italiani lo usa effettivamente; dati lievemente migliori per gli SMS (13%) e l’email (15%).

L’Osservatorio del Politecnico ha provato a calcolare il risparmio, in termini di tempo e denaro, per chi sceglie di adattare le proprie abitudini alla sanità digitale. I ricercatori hanno stimato che il paziente “digital” per ritirare un documento clinico impiega 5 minuti anziché i 45 spesi, in media, per recarsi direttamente dal medico. L’impatto economico di questa scelta è di ben 1.630 milioni di euro, a cui si sommerebbero 1.150 milioni di euro risparmiati consultando online le informazione su prestazioni e strutture sanitarie, 1.430 milioni se si impiegassero gli strumenti web per prenotare visite ed esami, 980 milioni per il pagamento. Il totale ammonta a circa 5 miliardi di euro, cifra che potrebbe essere reinvestita sempre in ambito sanitario sia per sostenere la digitalizzazione stessa che per rispondere alle esigenze specifiche di una popolazione che sta lentamente invecchiando.

Certo è che è necessario un investimento anche di tipo culturale per accompagnare i cittadini verso un approccio integrato alla sanità che tenga in considerazione le opportunità della digitalizzazione, senza perdere naturalmente il contatto diretto con il proprio medico. Le best practice esistono, ci sono Regioni in Italia dove, per esempio, una persona su due utilizza il Fascicolo sanitario elettronico. L’auspicio è che cresca la loro diffusione fino a coprire, passo dopo passo, l’intero territorio nazionale.