Umanizzazione delle cure in poliambulatorio: come migliorare?

Il rapporto e la comunicazione tra medico e paziente sono una componente fondamentale, assolutamente da non sottovalutare, della professione sanitaria. Utilizzare un linguaggio troppo tecnico e complesso, per esempio, rischia di dare luogo a fraintendimenti e confusione. In altri casi, può mettere a disagio il paziente che non si sente sicuro a sufficienza per poter fare una domanda per chiarire dei dubbi. Il risultato è un indebolimento del rapporto di fiducia tra medico e paziente, e un rafforzamento di quel fenomeno, già molto diffuso, per cui pochi minuti dopo essere uscito da un ambulatorio, il paziente ha già acceso lo smartphone per cercare maggiori informazioni online.

Proprio perché questa duplice tendenza può portare a conseguenze anche gravi, negli ultimi anni è cresciuta l’attenzione verso quella che viene chiamata umanizzazione delle cure. Vediamo di cosa si tratta e qualche consiglio pratico per migliorare il rapporto con i pazienti, anche in poliambulatorio.

Che cos’è l’umanizzazione delle cure?

Ciò che viene chiamata “umanizzazione delle cure” altro non è che l’attenzione a 360° del paziente preso in carico, senza sottovalutare alcun aspetto e soprattutto quelli psicologici e relazionali. Significa, nella quotidianità, non isolare la pratica clinica da un trattamento complessivo della persona e un ascolto concreto dei suoi bisogni e delle sue necessità.

Il Ministero della Salute pone, in particolare, l’attenzione su alcune categorie ritenute più fragili, rispetto alle quali è imprescindibile un approccio integrato: anziani, bambini, famiglie in situazioni di disagio. Questi casi debbono, dunque, essere trattati con percorsi personalizzati che non si limitano alla semplice cura della malattia, ma includano anche la cura del malato.

Valutare il grado di umanizzazione in Italia

In Italia si parla di umanizzazione in ambito sanitario dal 1992 quando, grazie al Decreto Legislativo n.502, è stato introdotto il principio secondo cui le strutture e le prestazioni devono essere adeguate alle esigenze dei cittadini. Da allora sono stati stabiliti anche degli indicatori con l’obiettivo di misurare il grado di umanizzazione del settore. Tra gli altri, è rilevante il numero di dimissioni accompagnate da una relazione sanitaria, l’ampiezza degli orari di visita giornalieri, la disponibilità di opuscoli e materiali informativi per i pazienti e le loro famiglie, l’affollamento delle camere per le degenze, ma anche il rapporto tra posti letto e servizi igienici.

Secondo i dati dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas) che ha realizzato una monitoraggio su tutto il territorio nazionale insieme con l’Agenzia di Valutazione Civica di Cittadinanzattiva, gli ambiti dove si registra maggior umanizzazione sono:

  • cure dei bambini,
  • lotta al dolore “inutile”,
  • ostetricia,
  • accessibilità per i disabili motori.

Molto da fare c’è, invece, dal punto di vista organizzativo e culturale: mancano ancora corsi di formazione per il personale finalizzati a migliorare il rapporto con il paziente e la sua famiglia, strumenti tecnologici adeguati per ottimizzare i tempi e ridurre le attese, alternative per il pagamento del ticket. Inoltre, l’Agenas rileva ancora una carenza diffusa nel trattamento di persone appartenenti a culture differenti.

Come portare l’umanizzazione delle cure in poliambulatorio

Per poter migliorare questo aspetto anche nel contesto di un poliambulatorio, è fondamentale partire da un concetto cruciale: il medico ha di fronte a sé un malato, non la sua malattia. Una persona con caratteristiche, gusti, esigenze, sensazioni e conoscenze che variano da individuo ad individuo. Durante l’intero percorso terapeutico, infatti, è utile ricordare questa dimensione di unicità del paziente che incoraggia e richiede un ascolto attento.

Per poter realizzare tutto ciò il consiglio è di partire dalla creazione di un team affiatato e competente, investendo nella formazione affinché tutti siano in grado di accogliere e comunicare efficacemente con il paziente e con la sua famiglia.

L’informazione è cruciale: dev’essere diretta, personale, completa. Utile al paziente per poter fare delle scelte consapevoli sulla propria salute alla luce della diagnosi e delle prospettive proposte ed individuate dal medico. Dal primo ingresso all’interno del poliambulatorio la famiglia e il malato dovrebbero sapere a chi rivolgersi per quali esigenze e dove trovare le informazioni di cui hanno bisogno, da quelle pratiche più semplici e concrete fino a quelle che riguardano direttamente farmaci e terapie.

Il paziente non capisce: come rendersene conto?

Un interessante studio della School of Nursery della University of Washington ha individuato alcuni segnali che possono rendere esplicito il fatto che la comunicazione tra equipe medica e paziente non ha funzionato in maniera efficace.

Per esempio, si possono osservare moduli compilati in maniera incompleta, errori nella terapia, appuntamenti mancati, segnali corporei di conferma a tutto ciò che viene detto, ma nessun commento o domanda ad approfondimento su quanto spiegato. Un suggerimento per colmare questo gap è assicurarsi che le informazioni siano state recepite e chiedere al paziente, o alla sua famiglia, di riassumere o rispiegare quanto appena comunicato, attuando un delicato quanto efficace controllo sulla precisione di dettagli cruciali come le dosi delle medicine, oppure le prospettive di terapia.

Da questo punto di vista, anche la tecnologia può rappresentare un prezioso alleato. Strumenti di messaggistica, la creazione di un canale di comunicazione diretto tra il poliambulatorio e il paziente, la possibilità di scambiare informazioni e approfondimenti può migliorare in maniera sensibile l’ambiente. E realizzare un approccio people-oriented che concretizza l’umanizzazione delle cure e può rendere più efficaci anche le terapie stesse.